Nel precedente post mi ero soffermata sugli aspetti che entrano in gioco in una relazione chiamiamola di dipendenza, che può sfociare anche in casi più gravi in situazioni di violenza, sopratutto da un punto di vista femminile, ma oggi vorrei un pò affrontare la questione anche da un punto di vista che mette in risalto ciò che succede all’uomo che riesce ad agganciare queste donne ed a mettere in atto determinati comportamenti.
Non a caso il tono della mia domanda è da leggere in termini provocatori perchè nella mia esperienza e dai racconti delle pazienti emerge un quadro molto sfumato ed estremamente variegato rispetto agli uomini cosidetti “maltrattanti” sia da un punto di vista psicologico che fisico.
Questi uomini possono essere infatti sia quelli che fanno a botte con la persona che gli fa uno sgarbo oppure essere dei professionisti, appagati nella loro sfera professionale, colti e pieni di interessi, ma che diventano aggressivi con le loro compagne, scaricando su di loro il disagio ed il malessere che si portano dentro, pensando in maniera erronea che molte delle colpe della relazione non funzionante sia proprio della loro metà.
Io non credo che ci sia un ricettario pronto all’uso nel trattamento della parte maschile, ma mi sono fatta l’idea che alcune di queste ataviche problematiche siano anche da ricercare in un fattore educativo e sociale che non va trascurato e che se visto in un’ottica di prevenzione, può nel tempo creare anche nuovi modelli educativi e sociali.
All’uomo infatti da sempre è stato rimandato di “non piangere”, di non mostrare le emozioni e di nascondere le loro fragilità ed il loro mondo emotivo e talvolta in una società orientata al patriarcale anche il modello femminile che veniva insegnato sia dai papà e purtroppo anche dalle mamme, non ha lasciato spazio ad una visione di rispetto reciproco e della donna non come una proprietà, ma come elemento paritario e complementare all’interno della coppia.
Molti di loro hanno dei forti vissuti abbandonici ed una scarsa educazione al sano contatto che non è associato alla sessualità, ma alla voglia di contattare l’altro, e si assiste ad una poca familiarità a saper riconoscere e gestire le proprie emotività che sono complesse e variegate quanto quelle dell’universo femminile.
E, molti di loro, hanno una modalità di relazione che non fa accettare la perdita dell’amata e la fine della relazione.
Agli uomini mi duole dirlo, o comunque alla maggior parte di essi, non viene insegnato come gestire tutto questo e come gestire un rapporto di coppia, e molti nel momento in cui succede qualcosa di grave non sanno cosa fare, alcuni neanche riescono a riconoscere il loro malessere sottovalutandolo e pensando che poi possa passare così come è arrivato.
Credo che al di là dell’approccio terapeutico in sè, associato ad un lavoro lungo e pieno di mille sfaccettature che non riguarda solo la visione del comportamento aggressivo, ma la presa in carico completa della Persona sotto tanti punti di vista, sia fondamentale fare un grande lavoro di prevenzione e che, per educare al piacere del contatto e delle emozioni sia necessario partire già da piccoli e che siano proprio le donne e le mamme che facciano questo passo importante, ma fondamentale per dare dei segnali significativi e duraturi nel tempo.
Questo perchè la visione della violenza e della manipolazione domestica ha bisogno di un approccio ampio che riguardi tanti aspetti e va visto ed interpretato all’interno di un contesto più ampio e non solo del trattamento in sè, data anche l’eterogeneità dell’uomo che richiede e si motiva a fare un percorso ed il campo dove si sviluppa e si annida la violenza.
E’ comprendere anche di non fare un’unica polarizzazione dove esiste da un lato la vittima assoluta e dall’altro l’uomo mostro e quindi associato poi al concetto della tolleranza zero, ma dopo una prima fase nel quale si arriva alla consapevolezza di quello che accade, è necessario prendere in consegna anche gli altri aspetti, vista la vastità del fenomeno.
Mi rendo conto che spinti dall’emotività di alcune situazioni e di alcuni casi di cronaca è molto facile voler trattare il fenomeno soltanto da un punto di vista, perchè prendere in “consegna” entrambe le parti rappresenta un lavoro difficile e di non semplice approccio, ma credo che considerare solo la parte femminile possa lasciarsi qualcosa alle spalle che non si vuole vedere e che comunque si porta dietro un mondo, quello maschile, fatto di tante cose e di tante emotività sommesse e vissuti relazionali profondi che non possono non essere “visti” e com-presi per quanto difficile e complicato possa essere.