” I teneri sentimenti della dedizione maschile sono simili al brontolio di un giaguaro che ha fra le zampe un pezzo di carne e non tollera essere disturbato”
Robert Musil nell’ “Uomo senza qualità” descrive senza troppi giri di parole alcuni uomini che fanno fatica a vedere le donne come soggetti emotivi e pensanti e non come oggetti utilizzabili a loro piacimento. E’ di sicuro questo un argomento spinoso e che genera a volte molte generalizzazioni ed ha al suo interno tante sfumature che non sempre sono facili da cogliere.
Ho voluto iniziare con un titolo volutamente provocatorio e lasciare un punto interrogativo perchè un pò di vita vissuta, non tantissima, ma un pò c’è!!, e di letture, commenti letti su fatti di cronaca e su seminari condotti che riguardano la dipendenza affettiva, passando per il fenomeno del Gaslighting, mi porta a pensare che alcuni che leggeranno questo post già in qualche maniera possono dare una risposta sia per quanto riguarda “la vittima” sia per quanto riguarda “il maschio”.
Queste righe non vogliono essere un elemento letterario nè presuntuoso, nè illuminante su questo tema, ma forse una riflessione che a volte mi capita di portare all’interno dei seminari e cioè che la vittima, per quanto concerne il disagio provocato da una forte dipendenza affettiva, non ha colpa di tutto ciò.
Le dinamiche di questa dipendenza sono raffinate e complicate e non sempre è facile fare una sorta di diagnosi del disagio, spesso perchè neanche la persona se ne rende conto e laddove iniziano ad emergere in lei elementi che le fanno comprendere che forse sta amando troppo e che si trova coinvolta in un circolo vizioso, non sempre riesce ad effettuare la fase del distacco che le permette di chiedere definitivamente aiuto a qualcuno.
In tempi non sospetti questa forma di dipendenza era associata ad un amore travolgente, assoluto, un pò da eroina ottocentesca, ma che nel tempo ha sempre più assunto la connotazione della patologia, non entrerò volutamente in merito rispetto l’elenco di come sono i dipendenti affettivi e delle loro classificazioni, ma mi ha sempre colpito in loro il vissuto emotivo che si portano dietro come fosse un peso, un macigno, una catena come disse una volta una mia paziente, legati a loro per tanto tempo.
Mi ha sempre impressionato questa forte dedizione verso questi partners il più delle volte manipolatori, svalutanti, assolutamente incapaci di provare un’ emozione, un affetto, che con i loro atteggiamenti, tendono a svalutare la persona, il suo mondo ed il suo Essere più profondo.
La persona e mi spiace constatare che per la maggior parte sono donne, vivono in uno stato di completa dipendenza, svalutano ciò che di bello hanno, ciò che di meraviglioso hanno costruito nel tempo, nella loro vita e non riescono più a guardarlo, ad osservarlo, completamente assoggettate all’amore.
L’amore che diventa una droga, un comportamento addictive, tanto per essere tecnici, che non lascia scampo e che logora il corpo, la mente, il loro mondo emotivo; quando arrivano in terapia sono annientate, quasi alienate e portano con sè un grande vuoto ed un grande senso di solitudine come se tutto quello che hanno fatto per l’Altro non avesse avuto nessun significato. Si sentono sbagliate ed inutili ed estremamente fragili.
E’ un vortice emotivo sottile, che si sviluppa nel tempo all’interno magari di relazioni stabili, apparentemente normali, ma dove l’autostima della donna, viene continuamente bersagliata ,annichilita, e dove l’adulazione nasconde potere e voglia di celare per sempre la vera natura della persona. Ogni volta che mi sono trovata con loro, mi è arrivato un grande senso di paura, paura di sbagliare, paura di non essere all’altezza, un senso di colpa molto forte; derivandolo in alcune situazioni dal semplice fatto che qualche volta hanno perfino provato ad alzare la voce ed alcune si dicono ” forse dovevo fare come diceva mia madre e cioè stare zitta e non fare nulla, mi sono messa a fare la rivoluzione ed invece guarda che ho combinato”. E questo mi rammarica, mi rende profondamente vicina a loro, a loro che talvolta non hanno parola, non hanno voce, che gridano in silenzio un dolore forte, assordante che i loro compagni non ascoltano.
Non hanno la capacità di ascoltare, di entrare in relazione se non con quella modalità, alla quale la donna inevitabilmente si aggancia con tutta sè stessa, in attesa della prossima “dose”.
Si tratta molto spesso di donne perché viene alla mente che la componente affettiva in questa modalità appartiene molto di più alla sfera femminile anche per ragioni culturali. Le donne, infatti, sono invitate ad assumere tutta una serie di atteggiamenti in sintonia con l’affettività, la comprensione dell’altro, l’essere materno, il sacrificio. Viene dato loro un messaggio di invito alla dedizione, perché altrimenti non sarebbero delle brave donne e delle bravi madri ( Introietti).
La dipendenza affettiva, inizia dove finisce la capacità di vivere il rapporto di coppia come un flusso costante tra momenti di una sana appartenenza e di differenziazione; quando all’Altro non è più lasciata la possibilità di auto-regolarsi, ma è costretto ad assumere un ruolo o un impegno, quando l’amore non è più fonte di arricchimento e di nutrimento reciproco, ma è una compensazione di qualcosa che supplisce il senso di vuoto, le paure ed i bisogni, rendendo così il rapporto non più un incontro tra due anime, ma una situazione di co-dipendenza, ovvero una limitazione reciproca.
Ma…. è meraviglioso quando timidamente chiamano, prendono un appuntamento ed inizia in loro a maturare l’idea di una voglia di un distacco che non significa distacco fisico dalla loro relazione, ( anche se nella maggior parte dei casi succede proprio questo ), ma distacco emotivo ed un cammino verso la loro forza e la loro bellezza e sopratutto verso una nuova consapevolezza ed un nuova autonomia.
Non è un cammino ed un percorso semplice, chi lavora nelle relazioni d’aiuto sa che ci vuole un grande Holding per stare con loro ed è necessario creare insieme una sana relazione, un sano appoggio, il ground, dove la Persona può di nuovo iniziare a sperimentare sè stessa, i suoi bisogni e fare della sua vita una vera e propria opera di trasformazione, dove il senso di inferiorità nel tempo si attenua, la paura della solitudine diventa una voglia consapevole di stare con sè stesse, ed il mostrarsi per come si è davvero non è una vergogna ma una forma bella di stare nel mondo.
Come donna e come terapeuta credo sia necessario rimandare e promuovere la positività del cambiamento e che la sofferenza ha comunque un valore che richiama il mutamento ed il movimento ed è una spinta essenziale nella vita senza la quale non si può operare alcun cambiamento.
Il dolore personale è vero che porta alla crisi, ma a sua volta ha in sé numerose nuove risorse per la persona, dando diverse possibilità. La Persona può piano piano comprendere che può e deve disabituarsi al dolore, crede di amare profondamente, ma in realtà non è amore, poiché l’amore è uno scambio di gioia e di presenza attiva reciproca.
E’ necessario vivere nella realtà, abbandonando forse l’idea del bacio del principe azzurro che salverà la principessa dalla morte e dalla desolazione ed è salutare in alcuni casi la consapevolezza del saper dire “no” o il ” basta davvero”. E’ forse arrivato il momento di educare all’affettività in maniera costruttiva ed insegnare un’immagine della donna, anche alla donna, che probabilmente si deve allontanare da quella che ci appartiene come un’etichetta sulla fronte, solo per il fatto di essere Donne, e che ci viene rimandata da forse troppo tempo.
Il cambiamento porterà nel tempo ad una nuova «modalità nell’ essere Intimi» senza però perdere la propria individualità, la propria autonomia, a conoscere cosa si sente e cosa si prova, ad ascoltare le proprie sensazioni ed attribuire un senso ai propri vissuti, ad una sana condivisione ed accettazione dell’Altro e di loro stessi.
Un’ accettazione di una soggettività diversa dove esprimere la gioia del donarsi, del lasciarsi andare e dell’esporsi all’Altro senza il timore del rifiuto per poter creare insieme con l’Altro un ponte fatto di fiducia ed appartenenza che permettono un abbraccio reciproco, libero ed autentico.
 
« Se ami saprai che tutto inizia e tutto finisce e che c’è un momento per l’inizio ed un momento per la fine e questo non crea una ferita. Non rimani ferito, sai che quella stagione è finita. Non ti disperi, riesci a comprendere e ringrazi l’altro: Mi hai dato tanti bei doni, mi hai donato nuove visioni della vita, hai aperto finestre nuove che non avrei scoperto da solo. Adesso è arrivato il momento di separarci, le nostre strade si dividono.
Non con rabbia, non con risentimento, senza lamentele e con infinita gratitudine, con grande amore, con il cuore colmo di riconoscenza. Se sai come amare, saprai anche come separarti».
( OSHO )